
Per un bambino romanista nato lontano dalla capitale alla fine degli anni ‘80, cresciuto negli anni ’90 e divenuto cosciente o quasi (perché non ci si può definire coscienti quando c’è di mezzo la Roma) nel nuovo millennio, la Partita è quella contro la Juventus.
Ricordo bene la Roma di metà anni ’90: era quella del mitico Pluto Aldair, del goleador Abel Balbo e dell’imprevedibile Daniel Fonseca, dei terzini Amedeo Carboni e “Tarzan” Annoni (che quando andò via da Roma salutò i tifosi da sopra lo stadio con uno striscione montato su un elicottero), dell’esterno della nazionale Ciccio Moriero, e dei centrocampisti Massimiliano Cappioli e Francesco Statuto (e incredibilmente mentre scrivo questa lista sento un vento di nostalgia); quella era la Roma che quando andava bene agguantava gli ultimi posti buoni per la Coppa Uefa, per poi puntualmente uscire l’anno successivo tra ottavi e quarti, dopo clamorose sconfitte esterne e tentativi di rimonte quasi impossibili al ritorno (memorabile Roma – Slavia Praga nel 1996); erano i tempi dell’Olimpico strapieno, più di San Siro, nonostante che al nord si lottasse per traguardi molto più importanti, e molto più di quando giocava la Lazio, anche se quello fu l’unico periodo della storia in cui la squadra biancoceleste era sicuramente più forte di quella giallorossa; quella era la Roma tignosa e rocciosa del Sor Magara, Carlo Mazzone, l’allenatore con più panchine in serie A della storia del calcio italiano, amatissimo da tutti noi romanisti (e non potrebbe essere altrimenti); squadra passata poi a quel genio di Zdenek Zeman, che era altrettanto ben voluto dalla tifoseria anche se rispetto al suo predecessore aveva uno stile diametralmente opposto: devastanti le sue dichiarazioni alla stampa, impassibile il suo volto in panchina, spettacolare e rischioso il suo modo di fare calcio in campo.
Dall’altra parte c’era la Juventus che vinceva un anno si e l’altro pure; era la creatura di Lippi, ma soprattutto di Moggi, Giraudo e Bettega; era la squadra di Gianluca Vialli, Fabrizio Ravanelli, Angelo Peruzzi, Ciro Ferrara, Didier Deschamps, Soldatino Di Livio, Parrucchino Conte, Torricelli, Porrini, Tacchinardi; quella era anche, a proposito di Zeman, la Juventus accusata dall’allora allenatore della Roma di fare uso di doping: partì un processo contro la società che si concluse anni dopo con la prescrizione della condanna per abuso di farmaci e con l’assoluzione dall’accusa di doping perché le sostanze utilizzate non erano proibite a quel tempo. Inoltre, senza bisogno di entrare nei più recenti schemi processuali, la Juventus già da anni veniva facilmente identificata dai tifosi delle altre società come la squadra che riceveva sempre la spinta dall’arbitro di turno in caso di bisogno.
Quest’ultimo era il motivo principale della profondissima rivalità tra Roma e Juventus.
Ma dal mio punto di vista si andava anche oltre: era come una piccola sfida tra me e la civiltà, tra l’unico giallorosso nel raggio di chilometri, romantico sostenitore di una causa molto lontana e praticamente già persa in partenza, e una folla dominante di bianconeri arroganti e forti di convinzioni e vittorie che io, bambino contento di una sofferta qualificazione Uefa a Zurigo o Brondby, non potevo avere.
Ma i tempi cambiano, anche rapidamente, e la storia recente ha ferito gravemente l’orgoglio juventino. Adesso le maglie bianconere servono a nascondere la rabbia nei confronti dell’Inter, che ha sostituito la Juventus sia a livello di titoli e prestigio che a livello di favoritismi: i nerazzurri, che erano minoranza silenziosa un decennio fa, ora sbraitano giustamente da mattina e sera, mentre i loro rivali di sempre negli ultimi anni si sono abbassati ad un ruolo di comparse.
Il tutto mentre i romanisti sono sempre gli stessi: sempre sul filo degli eccessi, in un senso o nell’altro, tra esaltazione e depressione; fortemente sarcastici se le cose vanno bene, velatamente autocritici se le cose vanno male; sempre e comunque perennemente incompiuti, ma nonostante questo sempre orgogliosi e incapaci di mollare tutto, anche se pienamente consapevoli che gioverebbe alla salute dedicarsi al curling.
E’ in questa situazione che ci avviciniamo alla Partita.
Roma sesta, Juventus settima, ed entrambe a distanze abissali dagli obiettivi di inizio stagione; noi tornati a campionati a cui probabilmente ci eravamo disabituati, loro al livello più basso di una storia gloriosa; noi delusi da una squadra grande solo in teoria, loro da una squadra mediocre anche in pratica; noi quelli di sempre, loro forse molti di meno ma proprio per questo più autentici, per il semplice fatto che molti juventini di una volta erano tali solo perché era facile scegliersi la squadra migliore per potersi appropriare di vittorie nei confronti verbali con gli altri.
Tifosi come banderuole scappate via, trascinate via dalla forza dei venti. Un po’ come accade in ambienti molto più seri e meno divertenti del calcio: ma la mentalità degli individui la si vede anche nelle situazioni più banali.
Ma ci sono Francesco Totti ed Alessandro Del Piero.
Come c’erano già allora e ci saranno ancora per qualche anno (speriamo molti).
Loro due sono i motivi per cui seguire ancora il calcio e per sentire brividi di tensione e malinconia durante un Roma - Juventus.









