martedì 22 marzo 2011

Bandiere e banderuole



Per un bambino romanista nato lontano dalla capitale alla fine degli anni ‘80, cresciuto negli anni ’90 e divenuto cosciente o quasi (perché non ci si può definire coscienti quando c’è di mezzo la Roma) nel nuovo millennio, la Partita è quella contro la Juventus.

Ricordo bene la Roma di metà anni ’90: era quella del mitico Pluto Aldair, del goleador Abel Balbo e dell’imprevedibile Daniel Fonseca, dei terzini Amedeo Carboni e “Tarzan” Annoni (che quando andò via da Roma salutò i tifosi da sopra lo stadio con uno striscione montato su un elicottero), dell’esterno della nazionale Ciccio Moriero, e dei centrocampisti Massimiliano Cappioli e Francesco Statuto (e incredibilmente mentre scrivo questa lista sento un vento di nostalgia); quella era la Roma che quando andava bene agguantava gli ultimi posti buoni per la Coppa Uefa, per poi puntualmente uscire l’anno successivo tra ottavi e quarti, dopo clamorose sconfitte esterne e tentativi di rimonte quasi impossibili al ritorno (memorabile Roma – Slavia Praga nel 1996); erano i tempi dell’Olimpico strapieno, più di San Siro, nonostante che al nord si lottasse per traguardi molto più importanti, e molto più di quando giocava la Lazio, anche se quello fu l’unico periodo della storia in cui la squadra biancoceleste era sicuramente più forte di quella giallorossa; quella era la Roma tignosa e rocciosa del Sor Magara, Carlo Mazzone, l’allenatore con più panchine in serie A della storia del calcio italiano, amatissimo da tutti noi romanisti (e non potrebbe essere altrimenti); squadra passata poi a quel genio di Zdenek Zeman, che era altrettanto ben voluto dalla tifoseria anche se rispetto al suo predecessore aveva uno stile diametralmente opposto: devastanti le sue dichiarazioni alla stampa, impassibile il suo volto in panchina, spettacolare e rischioso il suo modo di fare calcio in campo.

Dall’altra parte c’era la Juventus che vinceva un anno si e l’altro pure; era la creatura di Lippi, ma soprattutto di Moggi, Giraudo e Bettega; era la squadra di Gianluca Vialli, Fabrizio Ravanelli, Angelo Peruzzi, Ciro Ferrara, Didier Deschamps, Soldatino Di Livio, Parrucchino Conte, Torricelli, Porrini, Tacchinardi; quella era anche, a proposito di Zeman, la Juventus accusata dall’allora allenatore della Roma di fare uso di doping: partì un processo contro la società che si concluse anni dopo con la prescrizione della condanna per abuso di farmaci e con l’assoluzione dall’accusa di doping perché le sostanze utilizzate non erano proibite a quel tempo. Inoltre, senza bisogno di entrare nei più recenti schemi processuali, la Juventus già da anni veniva facilmente identificata dai tifosi delle altre società come la squadra che riceveva sempre la spinta dall’arbitro di turno in caso di bisogno.

Quest’ultimo era il motivo principale della profondissima rivalità tra Roma e Juventus.
Ma dal mio punto di vista si andava anche oltre: era come una piccola sfida tra me e la civiltà, tra l’unico giallorosso nel raggio di chilometri, romantico sostenitore di una causa molto lontana e praticamente già persa in partenza, e una folla dominante di bianconeri arroganti e forti di convinzioni e vittorie che io, bambino contento di una sofferta qualificazione Uefa a Zurigo o Brondby, non potevo avere.
Ma i tempi cambiano, anche rapidamente, e la storia recente ha ferito gravemente l’orgoglio juventino. Adesso le maglie bianconere servono a nascondere la rabbia nei confronti dell’Inter, che ha sostituito la Juventus sia a livello di titoli e prestigio che a livello di favoritismi: i nerazzurri, che erano minoranza silenziosa un decennio fa, ora sbraitano giustamente da mattina e sera, mentre i loro rivali di sempre negli ultimi anni si sono abbassati ad un ruolo di comparse.
Il tutto mentre i romanisti sono sempre gli stessi: sempre sul filo degli eccessi, in un senso o nell’altro, tra esaltazione e depressione; fortemente sarcastici se le cose vanno bene, velatamente autocritici se le cose vanno male; sempre e comunque perennemente incompiuti, ma nonostante questo sempre orgogliosi e incapaci di mollare tutto, anche se pienamente consapevoli che gioverebbe alla salute dedicarsi al curling.

E’ in questa situazione che ci avviciniamo alla Partita.
Roma sesta, Juventus settima, ed entrambe a distanze abissali dagli obiettivi di inizio stagione; noi tornati a campionati a cui probabilmente ci eravamo disabituati, loro al livello più basso di una storia gloriosa; noi delusi da una squadra grande solo in teoria, loro da una squadra mediocre anche in pratica; noi quelli di sempre, loro forse molti di meno ma proprio per questo più autentici, per il semplice fatto che molti juventini di una volta erano tali solo perché era facile scegliersi la squadra migliore per potersi appropriare di vittorie nei confronti verbali con gli altri.
Tifosi come banderuole scappate via, trascinate via dalla forza dei venti. Un po’ come accade in ambienti molto più seri e meno divertenti del calcio: ma la mentalità degli individui la si vede anche nelle situazioni più banali.

Ma ci sono Francesco Totti ed Alessandro Del Piero.
Come c’erano già allora e ci saranno ancora per qualche anno (speriamo molti).
Loro due sono i motivi per cui seguire ancora il calcio e per sentire brividi di tensione e malinconia durante un Roma - Juventus.

mercoledì 16 marzo 2011

La via per la saggezza.



Domenica 13 marzo, intorno alle ore 17, negli animi di (poche) migliaia di uomini serpeggiava un fremito di rabbia, che a poco a poco si dileguava, sostituito da un misto di desolazione e rassegnazione: a testa bassa essi fissavano mestamente i loro pugni stretti che si allentavano spontaneamente, fino a mostrare tutte e cinque le dita aperte, mentre voci nemiche compatte ed esultanti fendevano l’aria gelida e rendevano metaforicamente più pesanti le gocce di pioggia che scendevano dall’alto.

Il grande capo dei protagonisti di questa triste vicenda provò a scuotere i suoi il giorno prima: “Se c’è giustizia, vinciamo noi”, disse fermamente a tutti. E loro sciocchi gli credettero.
In un simile scenario di sofferenza, chiunque sarebbe portato a chiedersi perché: il perché nella vita esista il male e l’ingiustizia.
Ancor di più ciò accade se gli individui in questione possiedono limitate capacità di valutazione, dovute a forti squilibri emotivi dettati da persistenti complessi di inferiorità, peraltro ampiamente giustificati dalla dura realtà quotidiana a cui costoro sono costretti.

L’arbitro che fischia, il regolamento del gioco del calcio che contempla un arbitro, il laser che acceca, il principio di inerzia che non frena la palla, la pioggia che bagna il terreno e accelera la sfera, un portiere troppo sportivo, la sfortuna di essere nati sbagliati, l’esistenza del gioco del calcio e di questo stesso mondo terribile: tutto fa pensare a quelle menti che sia in atto un complotto ottico-politico-fisico-geologico-metafisico-esistenziale contro di loro.

Io che conosco qualche verità, non voglio dir loro come stanno realmente le cose: ognuno deve fare la sua strada, comprendere i propri errori e trarre le proprie conclusioni.
Ma Voialtri, stragrande maggioranza di uomini che non rientrano in questo psicodramma, sappiate che il primo passo per esser saggi non è aver risposte a tutto, ma saper porre la domanda in modo da trovare soluzioni: il problema vero non è chiedersi perché ci sono ingiustizie nel mondo, ma capire come poter reagire ad esse.

In altre parole, il problema non è chiedersi perché la Lazio perde, ma per quale cazzo di motivo chi tifa Lazio pensa ancora di poter vincere.

domenica 13 marzo 2011

TESTAMENTO BIOLOGICO - PARTE 3: Chiesa, Governo, Eutanasia



Prima di iniziare qualsiasi discorso, va detto che secondo un sondaggio dell’Eurispes del gennaio 2011, il 66,2% degli italiani è favorevole all’eutanasia e il 72,8% vorrebbe che nel testamento biologico la volontà del paziente fosse vincolante.
Puntualmente il Parlamento, che dovrebbe tutelare i favorevoli all’eutanasia (e coloro che vorrebbero vivere attaccati alle macchine) anche se fossero due in tutto, cancella la volontà della larga maggioranza del paese.

I contrari all’eutanasia sono quasi esclusivamente cattolici filo-clericali, perciò è fondamentale capire la dottrina della chiesa sull’eutanasia.
Per prima cosa la chiesa considera il suicidio “intrinsecamente negativo”, quindi un peccato, ma giudica il suicida incapace di intendere e di volere. Nel caso dell’eutanasia quindi, con la volontà di morire del paziente accertata per definizione, si va oltre il suicidio, commettendo secondo la dottrina cattolica un atto ancora più grave perché coscientemente cercato: da ciò deriva la totale condanna del gesto.
La chiesa ritiene legittimo per il malato soltanto rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè rifiutare cure eccessive rispetto ai risultati che prevedono di raggiungere, ma illegittimo rifiutare l’alimentazione e l’idratazione, seppure ottenute da macchinari.

Come facilmente intuibile, la legge proposta dal governo ed attualmente all’esame parlamentare è l’esatta trascrizione dell’opinione della chiesa cattolica.
Che conta molto di più degli elettori, come dimostrano i precedenti sondaggi.


La motivazione fondamentale con cui il clero critica l’eutanasia è l’indisponibilità della vita da parte dell’uomo, in quanto dono di Dio: in altri termini, la vita è stata data da Dio all’uomo, e quindi solo Lui può decidere il momento della morte naturale.

Questa idea presuppone: 1) l’esistenza di Dio e 2) la creazione del mondo, ed inoltre 3) ha un concetto imprecisato di morte naturale.

Come ogni individuo di minima cultura sa, i primi due presupposti sono quantomeno dubbi e certamente indimostrabili, quindi si potrebbe, e in un certo senso dovrebbe, affermare il loro opposto senza rischiare di cadere in errore. Di conseguenza la visione della chiesa è solo parziale e una tra le tante possibili, senza alcun privilegio rispetto alle altre.

Ma soprattutto è arrogante perché esclude le altre mentre le altre non la escludono: la negazione della possibilità dell’eutanasia impedisce a chi vuole di morire, mentre la sua legalizzazione non impedisce a chi vuole di continuare a vivere.
Lo stato e la legge devono aumentare per quanto possibile le libertà dei singoli cittadini, non limitarle e restringerle quando non c’è la necessità di farlo.
Ma si sa che la necessità di voti e soldi a politici del calibro dei nostri non viene mai a mancare.

E chi non ammette quei due presupposti, che cosa dovrebbe farsene di una simile teoria? Rispondo garbatamente “Nulla”, ma sto pensando all’utilizzo della carta igienica.

3) Per quanto riguarda la morte “naturale”, quest’ultimo aggettivo può indicare situazioni molto diverse: è naturale o no respirare e mangiare attaccati a macchinari? E’ volere di Dio l’utilizzo di strumenti artificiali che allungano vite che anni fa si sarebbero già concluse?
C’era una volta il no netto della fede alla scienza, alla tecnologia e a certi farmaci, che secondo quest’ottica sarebbero già prolungamenti innaturali dell’esistenza singola.
Ma si sa che perfino “la parola di Dio” nei “testi sacri” può essere cancellata o corretta a seconda delle comodità (vedi Concilio di Nicea).

La chiesa e i suoi seguaci, con un’appropriazione indebita di uno slogan demenziale, si ritengono “a favore della vita”, e come tali si sentono autorizzati a definire pro morte il 66,2% degli italiani, cioè circa 30 milioni di maggiorenni tra cui il sottoscritto: da parte mia, ho spesso la tentazione di volermi meritare questa definizione a loro spese.

sabato 12 marzo 2011

Matteo Persichetti è passato da "single" a "sentimentalmente occupato". Ovvero l'amore ai tempi di Facebook.


Ricordo che alle elementare il mio simpatico "fidanzatino" dell'epoca, un giorno mi inviò un bigliettino con su scritto "Vuoi diventare la mia fidanzata?" Sotto c'erano soltanto due opzioni: SI e NO. Senza pensarci un attimo barrai la prima e da quel momento la mia vita cambiò per sempre. O meglio, per le due settimane successive. Ma non è di ciò che voglio parlare.
A volte penso che se quell'episodio fosse accaduto oggi sarebbe stato tutto profondamente differente. Addio bigliettini romantici scritti con la Bic, nel 2011 c'è Facebook!
STEP ONE: TI "FIDANZI" (ho i brividi al solo suono di tale parola)? La prima cosa da fare è annunciarlo al social network di Mark Zuckenberg. Una volta cambiato lo "status sentimentale", pioveranno miliardi di notifiche sulla tua pagina. Amici, parenti e conoscenti curiosi cliccheranno MI PIACE, alcuni, colpiti dalla notizia inaspettata azzarderanno domande più approfondite tipo "e quando pensavi di dirmelo?", "ti pare normale che debba sapere queste cose tramite FB?!", "chi è il/la sfortunato/a?" (che simpatici burloni!).
STEP TWO: evoluzione della storia. Pubblicazioni quotidiane di fotine tu e lui/lei abbracciati al parco, baci davanti allo specchio del bagno di casa sua, pose improponibili sul letto dei suoi. Video strappalacrime pubblicati sul profilo della dolce metà con annesse frasette tipo: "Non vedo l'ora che sia domani!" "Ti amo patato/a!" (brrrrrrr).
Possibili litigi. Ovviamente, anche alle giovani generazioni facebookiane capiterà di litigare con il proprio partner. Come si può non condividere l'ira post-litigio con il fidanzatino con la comunità virtuale di bimbiminKia? E allora via a status quali: "SONO DEPRESSO/A, SARà IL TEMPO, O FORSE NO", "NON VOGLIO PERDERTI...", "TANTO HO SEMPRE RAGIONE IO!" Ma poi si sa, l'amoe non è bello se non è litigarello, no? Tutto si risolve in breve tempo. Se la crisi continua però, si passa alla temutissima fase 3!
STEP THREE: TI LASCIO! MI HA LASCIATO! L'amore non è eterno. Finisce anche su Facebook, lo sapevate si? Ecco, quando l'amore finisce, beh, è giusto che anche i nostri compagni dell'asilo nido lo sappiano. Basta fare un semplice clic e ricambiare il proprio status sentimentale. Molte sono le opzioni. I più simpatici scelgono "divorziato" o "vedovo". Altri accettano tristemente "single". C'è poi chi cancella dalla propria pagina l'ex partner per poterlo insultare meglio e chi lo tiene così, sperando che LE COSE POSSANO CAMBIARE.
Cari amici che ancora credete nel LOVE, lasciate stare. Eliminate la situazione sentimentale dal vostro profilo, eviterete di dover dare continue spiegazioni persino al vostro fruttivendolo, "amico" su Facebook. E poi, lasciatemi dire un'ultima cosa: SENTIMENTALMENTE OCCUPATO a voi sembrerà una cosa figa, ma credetemi NON LO è! PROVATE A RILEGGERE LE DUE PAROLE, come se fossero un mantra SENTIMENTALMENTE OCCUPATO, SENTIMENTALMENTE OCCUPATO, SENTIMENTALMENTE OCCUPATO....siete ancora vivi si?

giovedì 10 marzo 2011

Alcune cose da sapere sulla Bibbia




E' importante sapere che la Bibbia:

1- è stata originariamente scritta in ebraico antico, che è senza vocali e senza spazi fra parole;
2- non possediamo gli originali ma solo traduzioni;
3- non possediamo nessuna grammatica dell'ebraico antico che ci permetta di risalire ad eventuali errori di traduzione.

Facciamo un esempio. Io sono Dio e voglio lanciare un messaggio agli uomini. Per farlo non posso manifestarmi e dirlo a tutti in maniera oggettiva ed inconfutabile; devo farlo di nascosto ad un uomo solo, che poi lo riferirà a tutti. Fra tutti gli umani, il prescelto è, mettiamo caso, Nicola Legrottaglie.

Nicola!

Questa che sto fumando non è erba!

Nicola!

Ma chi parla?

Sono Io, il tuo Unico Dio. Voglio lanciare un messaggio agli uomini e ho scelto te come mezzo per farlo.

Dimmi mio Signore. Cosa devo riferire agli uomini?

Riferisci questo: "il pene è lungo".


Facciamo finta che in quel periodo non erano in uso le vocali né la spaziatura. Legrottaglie allora torna a casa e annota questo su di un rotolo di carta igienica:

"lpnlng"

che è, appunto, la frase divina senza spazi e vocali.
Dopo qualche secolo arrivano le vocali e la spaziatura. Il rotolo finisce nelle mani di scribi e di amanuensi che devono tradurre la frase divina. Mettiamo che questi abbiano una conoscenza non perfetta della lingua ebraica e che siano fallibili come normali terrestri. Potranno tradurre ad esempio così:

"il pene langue"

conservando tutte le consonanti ma sbagliando l'interpretazione della frase e stravolgendone il senso.


Da questo errore seguiranno millenni di fierissimi dibattiti e di efferate stragi.

Per spiegazioni più approfondite, leggere qui.

martedì 8 marzo 2011

L'8 marzo è la festa della donna



Data la brutta piega che ha preso questo blog a causa degli interventi di basso profilo dei suoi autori (la direzione sta valutando eventuali sanzioni e provvedimenti) mi sento in dovere di parlare con molta serietà di un argomento molto serio: 8 marzo, festa della donna.

Vado subito al punto: la festa della donna in realtà non è la festa della donna. "Festa della donna" è soltanto un nome di facciata per edulcorare un rituale molto antico, quello della mutilazione dell'acacia, conosciuta volgarmente ed erroneamente (il 98% di ciò che è volgare è anche erroneo) con il nome di Mimosa.
Questo antico e barbaro rito è di origine seleucide e risale al III secolo a. C., sotto l'imperio di Antioco III. Si narra che l'odio per questa pianta ebbe origine dall'assassinio di uno dei figli del re. Sul momento non si era a conoscenza del colpevole. Allora il saggio sovrano ebbe un'idea: radunò tutti gli uomini che vivevano a corte e chiese: "qualcuno di voi è l'assassino di mio figlio?". Ma i cortigiani, uno ad uno, risposero negativamente. Allora il re, disperato, ordinò alla sua schiera di àuguri, astrologi ed aruspici di interrogare tutto quello che era in loro potere per scoprire il colpevole. Alla fine, dopo aver studiato il volo degli uccelli, la forma dei fulmini, le viscere degli animali, i fondi dei caffè, la linea della vita sulla mano, e dopo aver sacrificato altri tre figli (3 è un numero sacro) e aver fatto sesso di gruppo con la moglie del re, gli àuguri arrivarono finalmente al colpevole:

Sire, sappiamo chi è stato.

Chi dunque?

Una mimosa.

Il resto viene da sé. Le parti mutilate dell'acacia assassina devono essere per tradizione donate alle donne che, come tutti sanno, sono una manifestazione di Satana.
Tra l'altro la mimosa è meglio dell'LSD. Oggi sono rimasto rinchiuso in un autobus con molte donne, ognuna delle quali aveva un ramo di mimosa in mano. A forza di respirare le loro spore ero più allucinato di Amy Winehouse in questo video.

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Passiamo ora alla dichiarazione del nostro vivacissimo presidente della repubblica: "la parità è lontana". La parità. Che cosa può significare la parità tra uomo e donna? Le possibili risposte sono due:
1- quando uomo e donna giocano l'uno contro l'altro e pareggiano (ovviamente questo presuppone che il gioco preveda il pareggio). Ma perché mai se i due sessi sono contrapposti in un gioco devono pareggiare?
2- la parità di diritti civili (nelle ultime 3 parole è stata usata solo la vocale "i"). Ma la parità di diritti fra sessi è già stata stabilita per legge: tutte le donne possono votare, possono guardare il calcio, possono addirittura guidare ed insegnare a dei maschi.
Ma allora a cosa si riferisce la mummia che vive a Montecitorio quando dice che la parità è lontana?
Sospetto che si riferisca alle "quote" di donne negli ambienti pubblici e privati. In questo senso, la parità c'è quando la differenza fra il numero di maschi e il numero di femmine è zero.

Benissimo.

Quale entità divina vieta alle donne di partecipare ad incarichi pubblici o privati? Quali orchi maschilisti impediscono alle donne di fare carriera? Perché, nella testa millenaria di Napolitano e di chi la pensa come lui, se per esempio il numero delle donne ed il numero dei maschi in politica è sbilanciato a vantaggio dei portatori di pene, allora devono esserci in giro un esercito di maschilisti che passa le giornate ad impedire alle donne di fare qualcosa di diverso che non sia stirare. E allora bisogna mettere per legge delle "quote rosa". Ad un certo punto il criterio per fare politica non diventa la capacità, la competenza e tutto il resto: all'improvviso il criterio diventa avere una vagina.
Chi ha una vagina sicuramente governerà benissimo, come Mara Carfagna, Flavia Vento, Mariastella Gelmini e Cicciolina.

lunedì 7 marzo 2011

Rubrica delle cose odiose #2



Dover fare la cacca subito dopo la doccia.

Nella foto: quattro persone a caso.

domenica 6 marzo 2011

Le nostre vite dopo l'invenzione di "Yahoo Answer"


"Domandare è lecito, rispondere è cortesia". Devono aver preso in parola questo detto i simpatici inventori di questa famosissima pagina http://it.answers.yahoo.com/ che, ammettiamolo, almeno una volta nella vita ci sarà capitato di visitare. Un tempo, quando eravamo assaliti da dubbi atroci ci limitavamo ad interrogare amici, parenti, conoscenti, animali domestici, insomma forme di vita reali. Speravamo che qualcuno potesse darci delle risposte illuminanti. Oggi invece, c'è "Yahoo Answer", la soluzione ai più improbabili quesiti. Vi basterà entrare, digitare la domanda e vedere quanti come voi hanno già avuto lo stesso dubbio, o quanti vi insulteranno per il quesito posto. Addentrandovi tra i meandri delle varie categorie, all'interno delle quali sono "rigorosamente" suddivise le "domande", avrete modo di leggere gli accorati messaggi di casalinghe disperate, desiderose di sapere quanti grammi di zucchero siano necessari per la preparazione di una deliziosa torta di mele, ragazzi che, in seguito ad infortuni calcistici, preferiscono rivolgersi alla comunità virtuale che al proprio medico di fiducia, dubbi amletici di bambine che hanno deciso di non leggere più "Cioè" e di tartassare i propri "amici" virtuali di domande idiote. Lo ammetto, a volte ho avuto bisogno anch'io di ricorrere a questa pagina e mi è capitato di farmi delle grosse risate. A mio avviso, una delle categorie più divertenti è "Musica e intrattenimento". Ci sono centinaia di persone alla ricerca di improbabili titoli di motivetti che ascoltano in tv e che decidono di fare delle QUESTION del tipo: "Ciao a tutti, sono KIKKA, come si kiama la kanzone dello spot di quella maKKINA figa col tettino, sedili in pelle riscaldabili, KE FA...ttatatata..nanana...yeah!" Di fronte a questi casi umani, la mia misantropia si fa sempre più forte.
La categoria "Società e culture" è la prova evidente della non esistenza di Dio. La cara amica Reginetta due minuti poneva il seguente quesito: "Se voi potete fare qualcosa che molto probabilmente solo poche persone al mondo sanno e possono fare?",
Personalmente, non ho ben capito quale sia la domanda o meglio il suo problema col mondo.
Poi c'è Simone M. che chiede se il romanesco sia più una parlata o un dialetto...A SIMO' CHIARISCITE LE IDEE! Orthensia che chiede un consiglio su quale sia la marca migliore di sigarette da fumare...La capisco, se fossi ridotta come lei userei anch'io un soprannome del genere!
La lista delle domande insulse potrebbe proseguire per anni. Non voglio tediarvi. Voglio solo porvi una domanda alla "Yahoo Answer": "Se evitassimo di chiedere cose idiote a gente ancor più idiota che naviga in rete e ci ponessimo interrogativi un pò più seri, il mondo non sarebbe migliore?" Ok, sono diventata moralista, mi segnalerebbero persino quelli di "Yahoo!". Vado a vedere se qualcuno ha già chiesto informazioni sulla tinta all'henne!

sabato 5 marzo 2011

TESTAMENTO BIOLOGICO - PARTE 2: Cosa penso del fine vita



Io parto dal principio per cui solo il singolo individuo può sapere se la propria vita è dignitosa, se vale la pena continuarla o se è preferibile interrompere le proprie sofferenze.

Il suicidio in Italia è accettato giuridicamente e culturalmente, anche se considerato immorale dalla religione dominante: se è accettato in condizioni normali non c’è ragione perché non lo sia nei casi di fine vita.

Le differenze tra suicidio ed eutanasia possono essere due: l’eventuale incoscienza del paziente che non può decidere per se stesso, e l’eventuale presenza di un intermediario tra la vita e la morte, cioè il medico.


Se il malato è cosciente e si pronuncia in favore dell’eutanasia, resterebbe solo l’eventuale obiezione del medico, che può legittimamente anteporre la propria coscienza morale alla volontà del suo paziente, rifiutandosi di condurlo alla morte. A mio parere questo non sarebbe un atteggiamento giusto nei confronti di chi soffre e chiede sollievo, ma comprenderei il medico che non si sentisse di andare contro le proprie credenze, anche se la vita in questione è quella di un altro.
A questo punto però, visto che è doveroso rispettare la volontà di vita di questo medico, è altrettanto necessario rispettare la volontà di morte del malato: sarebbe giusto quindi trovare un altro medico che accetti di fare da intermediario per realizzare l’ultima richiesta del soggetto in questione.


Se invece il malato è incosciente occorre stabilire la sua volontà espressa in precedenza, ma molto spesso ciò rimane impossibile: è questa l’unica tipologia di casi in cui non si può stabilire a priori come comportarsi.
Il testamento biologico avrebbe la funzione di evitare simili incertezze, ma tutte le limitazioni che vengono poste nella normativa italiana riducono decisamente il suo valore: non poter rifiutare certe cure, essere obbligati a “nutrirsi” attaccati alle macchine, e soprattutto il fatto che le decisioni scritte non sono vincolanti, significa sottomettere la volontà del soggetto a decisioni esterne, dello Stato, delle istituzioni religiose o del medico curante.


Nel prossimo post parleremo di tutte le "divertentissime" strumentalizzazioni politiche su casi di questo genere.

giovedì 3 marzo 2011

Rubrica delle cose odiose #1


Mangiare una confezione di Tuc in una biblioteca.

Tra l'altro l'ho fatto io e mi sono dato fastidio da solo.

mercoledì 2 marzo 2011

Testamento biologico - Parte 1



Il testamento biologico è la dichiarazione anticipata e cosciente del singolo cittadino riguardo quali cure accettare in caso di incoscienza.

Quando si parla di fine vita ci si riferisce ad una serie di situazioni diverse e incompatibili tra loro, in cui sinceramente è molto difficile orientarsi.

Da un punto di vista giuridico possiamo riassumere dicendo che l’eutanasia in Italia è illegale in ogni caso, anche se c’è il consenso volontario del paziente:
- è illegale l’eutanasia attiva, cioè quella in cui la morte del malato è causata da farmaci letali;
- è illegale l’eutanasia passiva, cioè quella in cui la morte del malato è causata dall’interruzione delle cure.

Esistono poi casi limite di fine vita che non sono considerati eutanasia, come l’applicazione di terapie del dolore in casi gravi, e il rifiuto dell’accanimento terapeutico, che è la vera variabile di tutta la storia, poiché non è chiaro quale sia il limite tra esso e il rifiuto delle cure che sfocia nell’eutanasia passiva.

Praticamente è nella definizione del concetto di accanimento terapeutico che si gioca la partita della legge sul testamento biologico, che arriverà a breve alla Camera dei deputati.

In sintesi questa proposta di legge italiana non considera alimentazione e idratazione come accanimento terapeutico, quindi esse non possono essere sospese, neppure se l’individuo in questione lo volesse esplicitamente.
Inoltre per questa legge, il testamento biologico che contiene le volontà del singolo individuo non è vincolante per il medico curante, che quindi potrebbe non attuarlo.


In pratica per i promotori di tale disegno di legge, restare per decenni attaccati alle macchine per nutrirsi è vita, mentre considerare la propria vita non dignitosa non è legittimo.
Infatti la volontà dell’individuo non è vincolante ma sottosta ad altre volontà, dietro alle quali sembra esserci quella di un’istituzione solo teoricamente spirituale.


Fin qui abbiamo parlato (anche se solo in sintesi) di leggi, per quanto esse possano essere serie (cioè pochissimo, in questi tempi).
Nel prossimo post procederemo a prenderle per il culo.